venerdì 10 maggio 2013

Elogio della sconfitta # 2





Nello sport, e il bjj non fa eccezione, ciò che conta è il risultato finale, la vittoria. Senza falsi moralismi, se l'obiettivo è vincere tutto il resto sono vuote chiacchiere. Vincere ti pone in una posizione di vantaggio, dona fiducia, aumenta l'autostima alimentata dagli elogi, mentre le invidie accrescono l'ego e la brama di dimostrare sempre di essere il migliore.

Essere considerati e considerarsi di successo, perché vincenti, può ingenerare negli atleti un falso senso di superiorità tale da renderli arroganti e svilupperà in loro un habitus di superiorità nei confronti degli altri che si manifesterà attraverso la libertà di dare giudizi, regalare consigli, facendo di loro delle persone temute dagli avversari, ma non rispettate e, nel peggiore dei casi, addirittura odiate.

Il vincitore deve ringraziare lo sconfitto senza di lui non ci sarebbe competizione, questi rappresenta l'altra faccia della medaglia quella all'ombra ma che per sua natura brama la luce. Nel perdente il costante desiderio di rivincita è un viatico di crescita e catarsi dentro il quale l'atleta scopre i propri punti deboli mentre rafforza il suo spirito. Lo sconfitto sta lì ad indicare al vittorioso che la sua strada non è in discesa perché al varco la prossima volta troverà ad affrontarlo schiere di sconfitti pronti a far valere le loro esperienze maturate attraverso il processo di rielaborazione della sconfitta.

Il numero uno sa che ogni nuova medaglia, una volta conquistata, è riposta in un cassetto, sa che il successo è il participio passato del verbo succedere. Si tratta di un fatto passato, per riconfermarsi vincitore dovrà ricominciare tutto da capo, non sedersi sugli allori, non dare niente per scontato se non vorrà ingrossare le fila dei perdenti e consegnare nelle mani di un altro lo scettro del comando.

"Vinciamo o perdiamo dentro di noi. I trofei scintillanti sui nostri scaffali non potranno mai vincere la partita di domani", dice John Wooden, tuttavia, aggiunge: "Perdere, senza timore di cadere, se coraggiosamente abbiamo dato tutto. Perché cosa si può chiedere di più ad un uomo che dare tutto ciò che può. Dare tutto, a me sembra, non è tanto distante dal vincere".

Finora si è usato il termine perdente ma non sarebbe più corretto parlare di sconfitto. Che differenza c'è tra sconfitto e perdente? Apparentemente nessuna. Sui vocabolari la differenza è minima, anzi sono utilizzati l’uno come sinonimo dell’altro, ma nella sostanza la differenza è enorme.

"In occidente non esiste la cultura del perdente, solo l'esaltazione del vincitore. Ma è nella sconfitta che si manifesta la gloria dell'uomo» Leonard Cohen
 
Perdente ha un'accezione negativa. Si dice: "Sei un perdente" come una condizione che in qualche modo dipende da noi, una condizione che accettiamo e contro la quale non ci ribelliamo. Un perdente è uno che rinuncia a combattere.

Lo sconfitto è chi si confronta, chi da battaglia e perde ma non subisce questa condizione. E' uno che si misura con un avversario e che perde la sfida. Davanti alla difficoltà il perdente non prova neanche a superarle, lo sconfitto quando esce perdente non reputa la sfida impossibile e a forza di riprovarci può riuscire a vincere.

Perdente o sconfitto? Alcuni preferiscono essere dei perdenti che degli sconfitti. Sconfitto, non lascia spazio a scuse, è categorico il significato che questa parola evoca. Sconfitto, non ammette giustificazioni!

Perdente viceversa è meno categorico, si può perdere per tanti motivi, ci si può dare mille giustificazioni per attenuare questa condizione e per poterne digerire le conseguenze.

Si dice: il mio avversario mi ha sconfitto. Non ci sono scuse! Ho lottato, ho fatto il possibile ma il mio avversario mi ha surclassato ha dimostrato maggiori abilità contro le quali non sono riuscito a contrapporre efficacemente le mie.

Viceversa si dice ho perso. Come cambia già tutto! Qui sono io il protagonista. IO- HO-PERSO! Sono io che in qualche modo ho permesso al mio avversario di vincere. Ero stanco, ero poco allenato, non ero in giornata, avevo dormito poco e così all'infinito.

“Se puoi conoscere la vittoria e la sconfitta e trattare allo stesso modo questi due uguali impostori sarai un uomo figlio mio" R. Kipling

La sconfitta può essere nobile e richiama alla memoria il cavaliere solitario che affronta, sprezzante del pericolo, nemici soverchianti consapevole dell'esito della tenzone ma spinto fino all'estremo sacrificio per non venire meno alle sue convinzioni.

Il Perdente non è chi perde, ma chi desiste. La paura della sconfitta è devastante, porta a rinunciare a tutto. Essere un perdente è una condizione psicologica ci si sente perdenti a volta ancor prima di salire sul quadrato di gara.

Sconfitti si è dagli altri è una condizione oggettiva che si deve accettare ma che si può superare. Sconfitti, si esce solo dopo aver lottato. Lo sconfitto suscita rispetto, il perdente solo commiserazione.

Si dice “ho perso” come qualcosa che si possiede, infatti, si usa il verbo “avere” è qualcosa che ci appartiene che diventa una nostra natura è una malattia in grado di avvelenare la nostra vita agonistica.

La sconfitta e la vittoria sono le due facce della lotta. Non c'è disonore nella sconfitta. Anche un esercito da una battaglia esce sconfitto, ma non per questo può dire di aver perso la guerra.

Nella cultura giapponese la figura dell’“eroe sconfitto” è molto radicata, all'eroe non si richiede di vincere in ogni circostanza, di riuscire sempre nelle imprese si ammette che possa essere sconfitto perché sopraffatto dalle circostanze. Si richiedono a lui altre qualità: l’onorabilità, la lealtà, il rispetto.

“In una tragedia c’è la bellezza della verità. È il significato della vita e della speranza. La gente che vince sempre appartiene alla classe media dello spirito". Eugene O’Neill

nota. Gli sceneggiatori del fim di Aldo Giovanni e Giacomo "il ricco il povero e il maggiordomo" hanno plagiato questo post per il loro monologo sulla sconfitta come si può vedere in questo video.





Fonti:
La nobiltà della sconfitta - Giorgio Rivieccio
Una cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria - Paolo Crepaz




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