venerdì 1 novembre 2013

Vivere virtualmente e morire realmente



E' di qualche settimana fa la notizia che negli USA uno squilibrato è salito su un mezzo pubblico ha estratto una pistola dalla giacca ma prima di sparare, e uccidere diversi passeggeri, l'ha messa bene in mostra e c'ha pensato su un bel pò prima di fare la strage, ma nessuno lo ha notato: tutti curvi sulle loro appendici digitali a giocare, messaggiare, navigare, condividere su FB. Hai voglia a seguire corsi di autodifesa, arti marziali se poi in un ambiente semiostile, quale può essere una metro di una grande città occidentale, sono tutti chiusi nei loro mondi virtuali con i loro sensi distratti da immagini o suoni provenienti da I phone, ipad, ipod, Smartphone, tablet, pc, mac,  etc.

Oggi anche nel mondo reale la gente è concentrata su quello virtuale fino al momento i cui la dura realtà riporta tutti con i piedi per terra e a volte, purtroppo, con la faccia riversa per terra, come in questo caso. Tutti, o quasi, sono sempre connessi, concentrati autisticamente su se stessi, incapaci di interagire con un mondo reale che fa paura e così, come tartarughe, c'è la tendenza a rintanarsi dentro un guscio virtuale o, come gli struzzi, interrare la testa lasciando però vulnerabile tutto il resto della propria persona.

Le giovani generazioni attuali vengono definite dai sociologi i millennial o "me me me generation".La “Me Me Me Generation” sarebbe composta da giovani  narcisisti, ansiosi e ossessionati dal successo che vivrebbero in un eterno presente e schiavi di un egotismo ipertrofico. Io questa definizione la amplirei a tutte le generazioni colpite dalla sindrome di peter pan ognuno ossessionato dalla paura di invecchiare, e tutti ansiosi di restare perenni fanciulli.



Il 70 per cento di loro si identifica sempre più con i loro profili virtuali, misurati sul numero di “followers” che hanno su Twitter o di “friends” accumulati su Facebook. Per molti i social network sono come un'ancora di salvezza in un mondo arido di veri rapporti umani autentici. Per cercare di colmare un vuoto emotivo, e per sopperire la mancanza di vere esperienza reali, molti trovano sollievo nel condividere la propria quotidianità esibendola ad una platea di "amici" sconosciuti che fanno lo stesso e che non provano molto interesse per le minute miserie quotidiane altrui.



Una generazione di giovani, e non solo, che passano giornate davanti a un computer impegnati nella ricerca di futilità da condividere su facebook e Twitter e ore assorbiti dal pensiero di quale sia la migliore posa fotografica o come risultare disinvolti, disinibiti, ammiccanti e provocanti in uno scatto digitale allo specchio.
Selfie anche per la ragazza con l'orecchino


Gli hanno dato un nome a questa moda: selfie ed è forse l'ultima spiaggia di una egolatria a buon mercato in grado di soddisfare, con un click, il proprio narcisismo. La realtà è che dietro a questi scatti si nascondono persone sole. Non potrebbe essere altrimenti. Si tratta pur sempre di un autoscatto allo specchio, la massima testimonianza visiva della solitudine:un'immagine riflessa impressa su un un'mmagine virtuale.

Negli Stati Uniti sono 80 milioni le persone ossessionate dal successo, dal culto della propria immagine e la parte del leone la fanno gli studenti universitari perennemente connessi. Poi arriva uno squilibrato tira fuori dalla giacca una semiautomatica reale, non come quelle virtuali usate per giocare online, e "disconnette" da questo mondo un po' di millennial. Cinicamente, e poco politically correct, mi vien da dire che se potessero a costoro li potrebbe consolerà il fatto che, benchè morti, i loro profili Facebook continueranno a vivere eternamente! Nel mondo virtuale l'immortalità esiste in quello reale NO! 

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