venerdì 26 aprile 2013

La recensione del film Red Belt

 

Alla notizia dell'uscita del film Red Belt, per la regia di David Mamet, un fremito colse noi amanti dell'arte suave. un grande scrittore, sceneggiatore e regista americano, nonché praticante di jiu jitsu, alle prese con una pellicola scritta e diretta da lui. Le premesse per un'ottimo film c'erano tutte. Come non ricordare il suo esordio al cinema con la "casa dei giochi" del 1987.

Rimasi subito ben impressionato dall'inizio del film, il Dojo, il maestro che segue due allievi che lottano, i suoi consigli ad uno dei due, tutto lasciava presagire una grande pellicola sul BJJ. Purtroppo,  a parte la scena iniziale, il film nel suo complesso, da questo punto di vista, è una grande delusione. Lo svolgimento della trama, il ritmo e le scene di combattimento non sono all'altezza delle capacità filmiche del regista.


Terry lo vediamo roteare un bastone, brandire un coltello in perfetto stile filippino, tirare pugni a un saccone ma di jiu jitsu si vede poco. John Machado, nei panni di Ricardo, da vita, assieme a Terry, ad una delle più brutte scene di lotta che il cinema d'azione abbia mai partorito. Molto meglio una scena di Bud Spencer e Terence Hill. 

Chi nel film cerca una storia incentrata sul Jiu-Jitsu, sulla vita in accademia, su incontri sportivi rimarrà deluso. Il Jiu Jitsu Brasiliano, di cui il regista è un praticante, gli è servito solo come scusa. Si vede che tutta la storia ruota attorno alla contrapposizione tra un certo modo di intendere le arti marziali e lo spettacolo che le vorrebbe assoggettare alle sue regole che spesso, come dice il personaggio che interpreta l'attore, non sono rispettate.

Mike Terry, veterano della Guerra del Golfo, è un insegnante di jiu-jitsu che non ha mai combattuto per soldi, è un samurai post moderno che cerca di condurre un vita onorevole seguendo rispettoso il bushido.  Gli affari non vanno bene, e a peggiorare le cose, un incidente nella sua accademia scatenerà una serie di circostanze casuali che sconvolgeranno non solo la sua vita. 

Dovrà fare i conti con i debiti, con un allievo da lui involontariamente messo nei guai, con una moglie pragmatica che lo vuole spingere a competere, con cognati affaristi, con le lusinghe dello showbiz hollywoodiano, e con organizzatori di MMA senza scrupoli.

A questa umanità, più o meno corrotta, Il regista contrappone un uomo retto, dai solidi principi, carismatico, un insegnante di jiu-jitsu, ma nel farlo mostra la contraddizione in cui cade il protagonista nel voler seguire alla lettera questa filosofia, e su quanto sia difficile oggi avere una condotta morale corretta in ogni circostanza. Mike Terry tenta di mettere in pratica principi, quali l'onore, il rispetto, una condotta morale irreprensibile, ma finisce per rendersi conto che le conseguenze del suo agire possono anche essere opposte a quelle sperate.

L'idea sviluppata nel film, che nell’America contemporanea fare il bene rischia allora di rivelarsi un clamoroso errore, è interessante, ma il voler intrecciare forse troppi temi fa di questo film un progetto riuscito solo in parte, narrativamente regge per la prima ora poi la trama si perde.
 
Terry insiste sul fatto che la lotta non è uno sport o un gioco e che trattarlo come tale di fatto lo indebolisce. In realtà, egli non insegna alle persone a combattere, lui insegna loro a prevalere (i Gracie direbbero a sopravvivere ma visto che Terry è un ex militare questa definizione del suo jiu jitsu forse calza meglio). E' un codice del samurai di integrità che però lo sta portando alla bancarotta.

Per risolvere i suoi problemi economici Terry, però, si lascia sedurre dal mondo di Hollywood, incuriosito dalle sue metodiche di allenamento non ortodosse. Questa seduzione è il primo passo verso il venir meno ai suoi principi, il venire a compromessi perché di fatto si viene coinvolti da meccanismi perversi.

Il mondo di Mamet è popolato da corrotti fatta eccezione per pochi la cui condotta onorevole non fa che rendergli la vita assai difficile. Afferma Mamet: "l'integrità in una cultura in cui tutto e tutti hanno un prezzo è solo per i suicida".


"Mio padre ha fatto i soldi, i miei fratelli fanno i soldi e tu al contrario sei troppo puro, troppo puro per competere perché per te competere indebolisce, perché una competizione non è un combattimento, ma non pensi alla tua famiglia, che cosa mangia mentre tu resti così puro". Questo gli rinfaccia la moglie.

A pranzo dalla star gli vieni rivolta la domanda del perché non combatte al che Terry  risponde: "io insegno a prevalere nei vicoli, in strada a poliziotti e soldati perché portare a terra una persona non è facile in un combattimento ci sono regole..." e l'attore risponde che il problema non sono le regole ma il rispettarle e che quando c'è un ring, due che combattono, e gente che scommette, l' incontro può essere truccato.

E' un mondo quello dello spettacolo dove non è vero che quello che appare, dove la finzione è la realtà, dove non c'è spazio per chi cerca nelle arti marziali la verità del combattimento.

Nel momento in cui Terry critica il cognato Ricardo da Silva per aver portato il gran maestro brasiliano cintura rossa al torneo, Silva gli risponde:"che cosa vuoi saperne tu degli insegnamenti del maestro, tu fai il tuo lavoro io faccio il mio. Questa è l'attività della mia famiglia, è un lavoro, che diavolo credi che sia... c'è la televisione la fuori, sarà un grosso evento, quando si combatte per soldi non c'è garanzia di lealtà".

Anche Ricardo Silva ha venduto l'incontro perché, come dice il promoter, nella vita anche i soldi sono una rivincita. Vuoi vendere l'incontro davanti al maestro, gli chiede Terry e Ricardo risponde: "il professore è vecchio ormai, non ha una famiglia da mantenere". Quando l'arte marziale diventa un lavoro cosa resta della genuinità del combattente a quali compromessi occorre piegarsi per restare come protagonisti in questo mondo?

La parte che meno convince del film è quella finale nella quale Terry, ormai completamente irretito dagli eventi, è costretto a scendere a patti con il suo codice morale, fino a trovare la forza di affrontare da solo tutti e così uscire di scena con il suo onore di nuovo mondato. Come va dicendo ai suoi allievi: "C'è sempre una via di fuga."

"Metterò fine a questa farsa", dice Terry mentre si avvia al centro del ring per annunciare che il torneo è truccato e nel farlo sbaraglia una dozzina di security e poi affronta Da Silva.

Da Silva è li per lavoro, quello di lottatore professionista che accetta tutte le regole di quel gioco anche quelle che prevedono,  per compiacere lo spettacolo e il business, di truccare un incontro. "Cosa vuoi fare rompermi le uova nel paniere?", lo ammonisce Da Silva prima di iniziare a lottare.

Tutta la parte finale del film non si direbbe girata da un grande cineasta ma evidentemente il pubblico a stelle e strisce non può accettare che il singolo sia impotente contro certi meccanismi, bisogna che da solo, come un novello Don Chisciotte, riesca a sbaragliare i mulini a vento.

Se il film voleva denunciare la corruzione del mondo del cinema Hollywodiano, dello spettacolo che assoggetta, con le sue regole, anche il mondo degli sport da combattimento, prostituendo e corrompendo tutto e tutti, l'intento è stato raggiunto, anche se attraverso una sceneggiatura tutto sommato povera e a tratti scollegata. La figura del maestro duro e puro, però, è troppo donchisciottesca, ingenua e votata a un codice di regole e precetti idealizzati, un codice etico per il quale, senza battere ciglio, sacrifica ogni cosa.

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