giovedì 29 giugno 2017

Agonista e coach due mentalità opposte



Ieri, ascoltando un intervista di John Danaher, ho ritrovato alcuni concetti che avevo scritto in un post di qualche tempo fa: "Un atleta agonista deve sempre pensare nei termini del suo interesse personale deve avere un'innata mentalità egoistica, un coach al contrario deve dare tutto a qualcun altro oltre che se stesso, è una mentalità generosa è questo il motivo per cui molti atleti fanno fatica a diventare coach, sono mentalità completamente diverse."


Nella mia esperienza, e so che molti non saranno d'accordo con me, - dice Danaher - se cerchi di mettere insieme un gruppo di atleti instillando in loro solo una mentalità agonistico-egoistica quel gruppo prima o poi si disgregherà. E' difficile gestire un gruppo nel quale ciascun membro guarda tutti gli altri come delle potenziali minacce. Si potranno creare alleanze temporanee ma al momento di ogni frizione, a ridosso di una competizione, bang, tutto si rompe. 


Lo sport è individuale ma l'allenamento è più un lavoro di squadra, è per questo che mi piace  creare con i miei allievi un senso di appartenenza a qualcosa più grande di loro l'idea di lavorare non solo per la loro carriera ma per lasciare un impronta nel mondo del jiu jitsu sportivo.

Danaher dice anche che non insegna ai suoi atleti solo a combattere ma anche diventare degli insegnanti perché la carriera agonistica è breve e qualsiasi imprevisto potrebbe interromperla improvvisamente.

Per lui e i suoi allievi il jiu-jisu è un attività incentrata su come risolvere meglio dei problemi sotto stress  non come uno scontro di volontà per stabilire chi è il più "duro".

Quest'ultima considerazione definisce in maniera brillante e sintetica  la quintessenza del jiu jitsu... pensieri su cui meditare.



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